“Candy Candy”, in origine romanzo creato da Kyoko Mizuki, poi divenuto un manga e infine un anime disegnato da Yumiko Igarashi, venne trasmesso in Italia dal 1980, trasformandosi presto in un vero cult. La storia risultò talmente avvincente da essere seguita anche dalle mamme, che ne attendevano assieme ai figli la puntata successiva, più di quanto non facessero con le allora famigerate telenovelas sudamericane quali “Dancing days” e “Ciranda de pedra”.
Un fulcro su cui procedeva la vita di questa eroina molto amata era l’amicizia con Annie, la bambina che venne trovata accanto a lei nei pressi dell’orfanotrofio e con cui crebbe. Rivedendo la serie con sguardo adulto, ho avuto una diversa prospettiva di suddetta unione. Dopo ben dieci anni insieme e la promessa di non dividersi mai, a costo di non essere adottate e rimanere ad aiutare Miss Pony e Suor Maria, Annie attua il primo grande tradimento nei confronti dell’amica. In seguito a un pianto interminabile per convincerla a non farsi adottare dai coniugi Brighton, la compagna d’infanzia, invece, accetta immediatamente quando la coppia le propone una nuova vita con essa. Non si sofferma nemmeno un attimo a pensare alle ripercussioni che tale atto potrebbe arrecare alla povera Candy, la quale, con l’ingenuità che la contraddistingue, ha rinunciato alla preziosa possibilità di avere una famiglia pur di restare con lei.
Dopo la partenza di Annie, Candy riceve una sua lettera in cui le scrive che non potranno più mantenersi in contatto, perché i nuovi genitori non vogliono che qualcuno possa scoprire la sua provenienza dalla Casa di Pony. Ancora una volta Candy piange disperata, delusa e ferita da chi considerava il suo più grande affetto, ma è nuovamente disposta a perdonarla. Tuttavia Annie senza remore non smentirà il suo egoismo, fingendo addirittura di non conoscere Candy in casa Legan e non intervenendo a favore dell’amica davanti alle angherie di Iriza e Neal. La stessa scena si ripeterà nella Saint Paul School di Londra, fino a quando non verranno svelate le sue origini. Una volta scoperto che anche lei è un’orfana e diventata a sua volta bersaglio dei due fratelli, ritrova di colpo un grande supporto nell’amica del passato, che non si risparmia dal difenderla dagli aguzzini. Da non dimenticare, nonostante ciò, l’evento in cui Annie accusa ingiustamente Candy di portarle via Archie, di cui è innamorata. Prima di arrivare a dirle tutto questo, attua persino giochetti psicologici in cui si fa negare, ostenta sofferenza, fa la vittima come in una tragedia antica. Solo quando è Candy a insistere, le sbatte in faccia ciò che pensa.
Tutto il mondo di Annie è costruito sulla falsità e sull’invidia scaturita dalla convinzione (palese in diversi episodi!) che Candy sia più benvoluta e desiderata di lei. La timidezza è una sorta di cappa, sotto cui celare i tornaconti e l’ipocrisia che la caratterizzano. Il suo atteggiamento è con nomenclatura odierna tipicamente passivo-aggressivo, volto ad ottenere il meglio per sé stessa a discapito degli altri. La definirei anche incapace di empatia, al contrario di Candy, che difatti finisce spesso nei guai per aiutare il prossimo. Suo malgrado costei non l’allontana, non smette di esserle amica, dimostrandosi ancora ingenua, ma sicuramente migliore.
Riesaminando tale personaggio attraverso i parametri della mia età attuale, mi sono ritrovata, con una punta d’amarezza, ad aver opinioni alquanto differenti da quelle di tanto tempo fa, laddove già allora non l’apprezzassi completamente. Constato che dell’intero anime sia il più discutibile e deprecabile. Apprezzo di più, se così si può dire, la dura schiettezza con cui Iriza e Neal manifestano la loro malevolenza: almeno è ben chiaro con chi si ha a che fare! La mia conclusione è di certo che nella vita preferirei imbattermi in mille nemici, piuttosto che confidare in una sola Annie.
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Bravissima. Si può dire in questo articolo che Annie mi ha sempre fatto schifo?
E brava Mary… altro gustoso articolo d’analisi critica sui cartoni più significativi della nostra giovinezza. Da questo si comprende come essi contenessero molti più elementi su cui riflettere di quanto si credesse! Non erano solo intrattenimento “per i più piccoli” ma, oserei dire, piccole ma utilissime lezioni di vita.